Decreto sull’informazione: l’articolo di Punto Informatico

Tratto dal sito Punto Informatico

 

Chiuso per rettifica

 

Roma – Il Governo pone la fiducia sul discusso disegno di legge in
materia di intercettazioni e la blogosfera ne fa le spese rischiando di
essere "chiusa per rettifica". È questo il senso di quanto è accaduto
nelle scorse ore in Parlamento, dove per effetto dell’approvazione del
maxi-emendamento presentato dal Governo sta per diventare legge l’idea
– di cui si è già discusso sulle colonne di questa testata – di obbligare
tutti "i gestori di siti informatici" a procedere, entro 48 ore dalla
richiesta, alla rettifica di post, commenti, informazioni ed ogni altro
genere di contenuto pubblicato.

Non dar corso tempestivamente
all’eventuale richiesta di rettifica potrà costare molto caro a
blogger, gestori di newsgroup, piattaforme di condivisione di contenuti
e a chiunque possa rientrare nella vaga, generica e assai poco
significativa definizione di "gestore di sito informatico": la
disposizione di legge, infatti, prevede, in tal caso, una sanzione da
15 a 25 milioni di vecchie lire.

Tanto per esser chiari e sicuri
di evitare fraintendimenti quello che accadrà all’indomani dell’entrata
in vigore della nuova legge è che chiunque potrà inviare una mail a un
blogger, a Google in relazione ai video pubblicati su YouTube, a
Facebook o MySpace o, piuttosto al gestore di qualsiasi newsgroup o
bacheca elettronica amatoriale o professionale che sia, chiedendo di
pubblicare una rettifica in testo, video o podcast a seconda della
modalità di diffusione della notizia da rettificare. È una brutta legge
sotto ogni profilo la si guardi ed è probabilmente frutto, in pari
misura, dell’analfabetismo informatico, della tecnofobia e della ferma
volontà di controllare la Rete degli uomini del Palazzo.

Provo a riassumere le ragioni di un giudizio tanto severo.
L’intervento
normativo in commento mira, nella sostanza, a rendere applicabile a
qualsiasi forma di comunicazione o diffusione di informazioni online –
avvenga essa in un contesto amatoriale o professionale e per scopo
personale, informativo o piuttosto commerciale – la vecchia disciplina
sulla stampa dettata con la Legge n. 47 dell’8 febbraio 1948 e, in
particolare, il suo art. 8 relativo ad uno degli istituti più controversi introdotti nel nostro ordinamento con tale legge: l’obbligo di rettifica.

La
legge sulla stampa, tuttavia – come probabilmente è noto ai più –
costituisce una delle poche leggi vigenti scritte e discusse
direttamente in seno all’assemblea costituente ormai oltre sessant’anni
fa ed ha, pertanto, già mostrato in diverse occasioni un’evidente
inadeguatezza a trovare applicazione nel moderno mondo dei media che
poco o nulla ha a che vedere con quello avuto presente dai padri
costituenti. Si tratta, per questo, di una legge che avrebbe richiesto
un intervento di "aggiornamento" urgente, competente ed approfondito o,
piuttosto, meritato di essere mandata in pensione dopo oltre mezzo
secolo di onorato servizio. Contro ogni legittima aspettativa, invece,
Governo e Parlamento hanno deciso di affidarle addirittura la
disciplina della Rete ovvero della protagonista indiscussa di una delle
più grandi rivoluzioni del mondo dell’informazione nella storia
dell’uomo. Difficile, in tale contesto, condividere la scelta del
Palazzo.

Ma c’è di più.
Sono anni che si discute ad ogni
livello – nelle università, nelle aule di giustizia e, persino, in
Parlamento ed a Palazzo Chigi – della possibilità e opportunità di
estendere in tutto o in parte la disciplina sulla stampa e, in
particolare, le disposizioni dettate in materia di obbligo di
registrazione delle testate, a talune forme di comunicazione e
diffusione delle informazioni online senza che, sin qui, si sia
arrivati ad alcuna conclusione sicura e condivisa.

La brutta ed ambigua riforma dell’editoria introdotta con la legge n. 62 del 2001, il famoso DDL Levi ribattezzato l’ammazza blog presentato e poi ritirato, il DDL Cassinelli ovvero il "salvablog" tuttora in attesa di essere discusso alla Camera dei Deputati e la "storica" condanna
dello storico Carlo Ruta per stampa clandestina pronunciata dal
Tribunale di Modica in relazione alla pubblicazione del blog dello
studioso siciliano sono solo alcuni dei provvedimenti e delle
iniziative che hanno, negli ultimi anni, alimentato – in Rete e fuori
dalla Rete – un dibattito complesso ed articolato senza vincitori né
vinti. L’entrata in vigore della nuova disciplina sulle intercettazioni
vanificherà e polverizzerà il senso di questo dibattito stabilendo, una
volta per tutte, che la disciplina sulla stampa – o almeno una parte
importante di essa – si applica a qualsiasi forma di comunicazione e
diffusione di informazioni nel cyberspazio.

Difficile resistere
alla tentazione di definire dilettantistica, approssimativa ed
irresponsabile la scelta del legislatore che è entrato "a gamba tesa"
in questo dibattito ultradecennale ignorandone premesse, contenuti e
questioni e che ora rischia di infliggere – non so dire se
volontariamente o inconsapevolmente – un duro colpo alla libertà di
manifestazione del pensiero nel cyberspazio modificandone, per sempre,
protagonisti e dinamiche.
Nel Palazzo, domani, qualcuno – nel
tentativo di giustificare questo monstrum giuridico liberticida e
anti-Internet – dirà che è giusto pretendere anche da blogger, gestori
di piattaforme di condivisione di contenuti e titolari di qualsiasi
altro tipo di sito Internet la pubblicazione di una rettifica laddove
loro stessi o i propri utenti pubblichino contenuti non veritieri o
ritenuti lesivi dell’altrui reputazione o onore. Libertà fa rima con
responsabilità è il ritornello che sento già risuonare nel Palazzo.

Il
problema non è, tuttavia, il ritornello che non si può non condividere,
quanto, piuttosto, le altre strofe della canzone per restare nella
metafora ovvero le modalità attraverso le quali il legislatore ha
preteso di raggiungere tale ambizioso risultato. Provo a riassumere il
mio punto di vista.

The web is not the press (or tv) si
potrebbe dire con uno slogan e non è, pertanto, possibile né opportuno
applicare ad ogni forma di comunicazione online la speciale disciplina
dettata per l’informazione professionale. Dovrebbe essere evidente ma
così non è. Gestire le richieste di rettifica, valutarne la fondatezza
e, eventualmente, darvi seguito è un’attività onerosa che mal si
concilia con la dimensione "amatoriale" della più parte dei blog che
costituiscono la blogosfera e rischia di costituire un elemento
disincentivante per un blogger che, pur di sottrarsi a tali incombenti
e alle eventuali responsabilità da ritardo (una multa da 25 milioni di
vecchie lire per aver tardato a leggere la posta significa la chiusura
di un blog!), preferirà tornare a limitarsi a leggere il giornale o,
piuttosto postare solo su argomenti a basso impatto mediatico, politico
e sociale e, come tali, insuscettibili di "disturbare" chicchessia.
Allo stesso modo, il gestore di una piattaforma di condivisione di
contenuti o, piuttosto, di social networking che, per definizione, non
produce le informazioni che diffonde, ricevuta una richiesta di
rettifica non potrà, in nessun caso, in 48 ore, verificare con l’autore
del contenuto la veridicità dell’informazione diffusa e, quindi,
l’effettiva sussistenza o meno dell’azionato diritto di rettifica.

Risultato:
o si doterà – peraltro non a costo zero – di una struttura idonea a
pubblicare d’ufficio tutte le rettifiche ricevute o, peggio ancora,
deciderà di rimuovere tutti i contenuti che formino oggetto di un
altrui istanza di rettifica tanto per porsi al riparo da eventuali
contestazioni circa la forma, i caratteri e la visibilità della
rettifica stessa.

Sembra, in altre parole, evidente che la nuova
legge produrrà quale effetto pressoché immediato quello di abbattere
sensibilmente la vocazione all’informazione diffusa che ha, sin qui,
costituito la forza del web come primo spazio davvero libero – o quasi-libero
– di divulgazione di quello straordinario patrimonio di pensieri e
notizie che, sin qui, i media professionali non hanno in parte potuto e
in più parte voluto lasciar filtrare per effetto dei forti ed
innegabili condizionamenti che i poteri politici ed economici da sempre
esercitano sulle testate giornalistiche cartacee, radiofoniche o
televisive che siano. Da domani, quindi, i nemici della libertà di
informazione avranno un pericoloso strumento per far passare la voglia
a tanti blogger nostrani di dire la loro ed ad altrettanti "giornalisti
diffusi" di raccontare storie inedite via Facebook, YouTube o MySpace.

Ma c’è ancora di più.
Il
senso dell’obbligo di rettifica previsto nella vecchia legge sulla
stampa risiede nella circostanza che in sua assenza il cittadino che si
senta diffamato o avverta l’esigenza di "rettificare" un’informazione
diffusa da un giornale non potrebbe farlo o meglio resterebbe esposto
all’arbitrio del direttore della testata, libero di pubblicare o non
pubblicare la rettifica. Non è così, tuttavia, nella più parte dei casi
in Rete dove – salvo eccezioni – chiunque può pubblicare una
precisazione, un commento, un altro video o, piuttosto, condividere un
link su un profilo di Facebook per replicare e/o rettificare l’altrui
pensiero. È questo il bello dell’informazione non professionale online
ed è questa una delle ragioni per le quali l’informazione in Rete è –
sebbene ancora per poco – più libera di quanto non lo sia quella
tradizionale.

E per finire, dopo il danno la beffa.
Mentre,
infatti, la nuova legge impone a chiunque utilizzi la Rete per
comunicare o diffondere contenuti e/o informazioni gli obblighi
caratteristici dei produttori professionali di informazione, continua a
non riconoscergli pari diritti: primo tra tutti l’insequestrabilità di
ogni contenuto informativo diffuso a mezzo Internet alla stessa stregua
di un giornale. In questo modo si sarebbe, almeno, potuto dire "onori e
oneri" mentre, così, l’informazione in Rete finisce con l’essere
svilita ad un’attività pericolosa, onerosa e mal retribuita o, nella
più parte dei casi, non retribuita affatto. Basterà la passione ad
indurre i protagonisti del cosiddetto web 2.0 a resistere anche a tale
ulteriore aggressione o, questa volta, getteranno la spugna consegnando
la Rete ai padroni dell’informazione di sempre?
Chiediamocelo e, soprattutto, chiediamolo a chi ha voluto questa nuova inaccettabile legge ammazza-Internet.

Guido Scorza
www.politicheinnovazione.eu

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