La crisi, i ricchi e il ruolo della solidarietà

Un’ interessantissima analisi dello spirito del tempo

 

La crisi, i ricchi e il ruolo della solidarietà

1 maggio – La Repubblica

Jean- Paul Fitoussi

La crisi ha rivelato che le nostre società sono costituite
apparentemente non più da classi sociali, ma da universi paralleli: una
differenza non retorica, conseguenza di un´evoluzione implacabile che
ha diviso le popolazioni in categorie distinte, pur senza unire le
persone in seno a ogni categoria. Ai tempi delle classi sociali, se
così posso dire, ciascuno aveva un´identità sociale, e la coscienza di
appartenere a un gruppo. Per di più, i rapporti tra le classi, spesso
conflittuali anche se talora pacificati dal paternalismo dei capitani
d´industria, erano frequenti, se non continui; in breve, non avevano
nulla di anonimo. Era il senso di appartenenza a una classe, insieme ai
rapporti tra le classi, a fare la società.

Le rette parallele si incontrano solo all´infinito: è un modo
per dire che gli universi di cui sopra generalmente si ignorano.
Quest´evoluzione è il frutto di un cambiamento dei valori e del
crescente individualismo. I valori della solidarietà, anche se imposti
dalle disuguaglianze e dalle difficoltà della vita quotidiana, hanno
ceduto progressivamente il passo a quelli del merito individuale,
misurato col metro del denaro. Paradossalmente, una parte di
quest´evoluzione potrebbe essere ascritta a due dinamiche eminentemente
positive: la lenta azione della democrazia, che liberando l´individuo
lo rende al tempo stesso più solitario, e gli effetti di un sistema di
protezione sociale che mutualizza i rischi, rendendo l´individuo più
autonomo rispetto al suo gruppo di appartenenza. Questa solitudine, e
quest´autonomia, inducono sempre più a ritenere che nel bene e nel
male, ciascuno sia il solo responsabile del proprio destino. Ed è
evidentemente qui che si produce il controsenso. Difatti, se
l´individuo è libero e autonomo, lo è soltanto in ragione delle
decisioni collettive prese in seguito a un dibattito democratico, e in
particolare di quelle che hanno assicurato a ciascuno l´accesso
(diseguale) ai beni pubblici: istruzione, salute ecc. Diseguale, perché
la fruizione dei beni pubblici è anche determinata dalle condizioni
iniziali di ogni individuo. Come dimostrano numerose inchieste, le
università più prestigiose (anche quando l´iscrizione ai corsi è
gratuita) sono frequentate in grande maggioranza dai giovani dei ceti
più favoriti. La solidarietà permane, ma è divenuta talmente astratta
che chi è stato favorito nel gioco a dadi del destino non si sente in
alcun modo debitore. Pensa di essere ciò che è solo per meriti propri,
e ignora il ruolo delle decisioni collettive grazie alle quali ha
potuto realizzare le proprie potenzialità. Secondo questa logica, le
scuole e le università della Repubblica ad esempio non avrebbero avuto
alcun peso!

Ma ad aprire la strada agli universi paralleli di cui ho parlato è
intervenuta un´altra astrazione: il denaro. Se il merito, come ci
racconta non la teoria (che è più sottile) ma l´ideologia liberale, si
misura col metro del denaro, allora non esistono più limiti morali
all´entità delle remunerazioni. Se io guadagno mille volte (o cento, o
dieci volte) più di te, vuol dire che il mio merito è mille volte (o
cento, o dieci volte) superiore al tuo. In tal modo diventa possibile
attribuire al denaro un valore intrinseco: quello del mio merito, della
mia competenza. Al resto pensa la natura umana – l´ego e/o l´arroganza:
sono in molti a considerare il proprio valore precisamente
inestimabile. Il luogo privilegiato ove questa (iper)valutazione di sé
incontra i minori ostacoli è evidentemente il mercato finanziario, nel
senso generico del termine. La moneta è un´astrazione – l´”astrazione
delle astrazioni”, diceva Hegel. Si comprende così come mai può
accadere che le remunerazioni non abbiano più alcun rapporto con la
realtà. A confortare il suddetto credo è stata la dottrina del libero
mercato, divenuta una quasi religione: il mercato è efficiente, e
quindi la remunerazione che mi fa avere (la cui entità, come si è visto
in alcuni casi recenti, può anche andare oltre ogni immaginazione) è
legittimata dalla mia propria efficienza. Posso dunque dire di
partecipare al bene comune, ancorché indirettamente e astrattamente,
attraverso la creazione di valore resa possibile dal mio lavoro, e ne
sono ricompensato.

Ma ecco che – patatrac! – il sistema crolla: la creazione di
valore si trasforma in distruzione, e gli universi paralleli entrano in
rotta di collisione. Il risultato è spettacolare e, a memoria di
matematico, inaudito: le rette parallele si incrociano, l´autonomia
diventa interdipendenza, la solidarietà è riaffermata con enfasi per
convincere il “tax payer”, o contribuente, a soccorrere chi prima aveva
voluto le camere separate. In ogni modo, non c´era scelta, dato il
fittissimo intreccio tra economia e finanza e gli stretti rapporti di
dipendenza reciproca tra i pseudo-universi paralleli. Le scaglie cadono
dagli occhi: l´illusione di un arbitraggio tra efficienza e solidarietà
dimostra la sua inconsistenza. La crisi ricorda a ciascuno quanto deve
agli altri, sottolineando – se ce ne fosse bisogno – una verità etica
dimenticata troppo in fretta: sono i ricchi a trarre il maggior
vantaggio dalla loro cooperazione con gli altri membri della società, e
in particolare con i poveri.

Da tutto questo si possono trarre due conclusioni: la prima è che
almeno in parte, ciascuno deve il proprio successo agli altri, in
ragione dei beni pubblici dei quali ha potuto fruire grazie alla
democrazia. Ne consegue l´invito a una maggior modestia e sobrietà nel
fissare le remunerazioni più elevate, per ragioni non morali, ma di
sostenibilità del sistema: perché altrimenti è la società intera a
dover pagare il conto, se si vuole evitare una catastrofe.
Seconda conclusione: i più favoriti, che nel contesto attuale hanno
beneficiato della solidarietà altrui, non possono più rifiutare agli
altri il proprio contributo. Perciò le voci di chi insiste nel
giudicare eccessivi i contributi sociali e le tasse dovrebbero essere
messe in sordina. Ma lo saranno?

(Traduzione di Elisabetta Horvat)

 

 Giorgio – PsicoPadova

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