Quando il passato non insegna

Ovviamente questo non è il momento di discutere di colpe, ma è il momento di agire.

Tuttavia per una volta il nostro Paese potrebbe imparare dalle tragedie che affronta, per cui vi propongo questo stralcio di articolo di Gian Antonio Stella: non per criticare aridamente, ma per non dimenticare, perchè credo che a volte le "calamità sono principio di Risorgimento".

EROI E VECCHI CAMION, LE DUE ITALIE

[…] Come fai a non arrabbiarti, a guardare le foto­grafie della biblioteca della scuola ele­mentare crollata a Goriano Sicoli o, peg­gio ancora, dell’ospedale (l’ospedale!) dell’Aquila? Sono anni che si sa come si dovrebbe costruire, nelle aree a rischio. Non sono serviti a niente la durissima lezione del terremoto ad Avezzano né gli avvertimenti degli esperti che da decen­ni ricordano come le zone più esposte si­ano quella a cavallo dello Stretto di Mes­sina, la Sila in Calabria, il Forlivese, la Garfagnana e la Marsica né il disastro di qualche anno fa in cui morirono i piccoli di san Giuliano. A niente. «Dopotutto non è la natura che ha ammucchiato là ventimila case di sei-sette piani», disse furente Jean-Jacques Rousseau a proposi­to del catastrofico terremoto di Lisbona del 1755. L’uomo non può sfidare impu­nemente la natura: questo voleva dire. Non può contare, spensieratamente, so­lo sulla buona sorte. Eppure così è sempre stato, da noi. E decine di migliaia di persone hanno con­tinuato ad ammucchiarsi disordinata­mente intorno al Vesuvio nonostante sia­no passati solo pochi decenni dall’ultima eruzione del 1944 quando la gente pazza di paura prese a girare con la statua di San Gennaro perché fermasse la lava già bloccata quarant’anni prima dal santo a un passo da Trecase. E migliaia di sinda­ci e assessori e vigili urbani hanno chiu­so gli occhi per anni sul modo in cui, an­che nelle zone più pericolose, venivano tirati su spesso con cemento scadente e piloni gracili i condomini e le scuole e gli edifici pubblici. Per non dire di chi aveva le responsabi­lità più gravi. «Mai più», aveva giurato Silvio Berlusconi nel novembre del 2002, dopo la tragedia di san Giuliano di Pu­glia. Sono passati più di sei anni, da allo­ra. Ma, come accusava ieri mattina Il Sole 24 ore, il varo delle nuove regole si è via via impantanato di ritocco in ritocco, di rinvio in rinvio, di proroga in proroga. Colpa della destra, colpa della sinistra. Ba­sti ricordare che fu solo la Corte Costitu­zionale, tre anni fa, tra i lamenti e gli stril­li dei costruttori («Siamo molto preoccu­pati per il rischio di paralisi nei cantieri, si potrebbe bloccare l’edilizia!») a blocca­re una legge troppo permissiva della Re­gione Toscana spiegando che no, «in zo­na sismica, non si possono iniziare i lavo­ri senza la preventiva autorizzazione scrit­ta del competente ufficio tecnico».

Ed è sbalorditivo, oggi, tornare indie­tro soltanto di qualche giorno. E trovare la conferma che mai, prima dell’apocalis­se di lunedì notte, erano state nominate parole come sisma o terremoti nella pro­posta edilizia del governo alle Regioni del giugno scorso, mai nella prima bozza di un mese del «piano casa», mai nell’in­tesa del 31 marzo. Mai. Oggi Claudio Scajola detta alle agenzie che il piano ca­sa «dovrà essere utile anche per le prote­zioni antisismiche» e il nuovo documen­to dato alle Regioni, ritoccato l’altro ieri in tutta fretta, ha un «articolo 2» nuovo nuovo. Dove si spiega, sotto il titolo «misure urgenti in materia antisismica» che «gli interventi di ampliamento nonché di de­molizione e ricostruzione di immobili e gli interventi che comunque riguardino parti strutturali di edifici, non possono essere assentiti né realizzati e per i mede­simi non può essere previsto né conces­so alcun premio urbanistico sotto alcuna forma ed in particolare come aumento di cubatura, ove non sia documentalmente provato il rispetto della vigente normati­va antisismica».

Evviva. Ci sono voluti i lutti di Onna e la distruzione dell’Aquila e quelle file di bare allineate, però, per cambiare il testo originale dato alle Regioni solo una setti­mana fa. Dove l’articolo 6, precipitosa­mente soppresso dopo il cataclisma abruzzese, era intitolato «Semplificazioni in materia antisismica». Meglio tardi che mai. Purché fra una settimana, un mese, un anno, non torni tutto come prima. C’è un Galiani che for­se Berlusconi non conosce. Si chiamava Ferdinando e non Adria­no, aveva una «elle» sola, vestiva l’abito da abate ed era un dotto economista. Dis­se: «Molte volte le calamità distruggono le nazioni senza risorgimento, ma talvol­ta sono principio di risorgimento e di riordinamento di esse. Tutto dipende da come si ristorano». Sarà il caso di ricor­darlo.

Gian Antonio Stella

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