“La nuova destra che forse non nascerà”

In seguito allo scioglimento di AN e alla sua fusione all’interno del Partito delle Libertà proponiamo un commento di Eugenio Scalfari uscito su La Repubblica di domenica. Il commento di Scalfari è una previsione del futuro alla luce di una secca e puntuale analisi del quindicennio berlusconiano.

La nuova destra
che forse non nascerà

di EUGENIO SCALFARI

OGGI
Gianfranco Fini darà l’addio al suo partito che si scioglie nel grande
mare del Pdl, il Partito del Popolo della Libertà, tre lettere
maiuscole sulle quali campeggia il Capo carismatico Silvio Berlusconi,
fondatore, presidente e leader intramontabile.
Un addio, quello di
Fini, ma anche un arrivederci, almeno nelle sue intenzioni.
L’esortazione e anzi il comando alla sua gente è di restare unita,
custode di una tradizione, di valori propri e d’una propria identità,
d’una propria egemonia che non deve disperdersi – così spera Fini – nel
magma indistinto di Forza Italia.

Dovrà costituire anzi un punto di riferimento per più ampie
aggregazioni dentro il nuovo partito e fuori di esso, per dare vita ad
una nuova destra capace di guidare il paese anche quando il Capo
carismatico deciderà di ritirarsi per sazietà o per stanchezza,
comunque per l’inevitabile trascorrere del tempo che "va dintorno con
le force".

Si tratta d’una proposta di larghe vedute, che non è soltanto politica
ma anche istituzionale e culturale. Fini dà molta importanza a
fondazioni culturali che avranno il compito di piantare nuovi innesti e
nuove radici nelle tradizioni della destra. Il presidente della Camera
sovrintenderà a questo lavoro ed ha come riferimenti il conservatorismo
del XIX secolo, quello che si oppose al trinomio "libertà, eguaglianza,
fraternità" in nome dei principi della tradizione e della terra, cioè
della nazione, senza tuttavia rinunciare al filone laico di derivazione
illuministica. Perciò Burke ma non De Maistre.

E dunque: lo Stato da riscoprire come depositario di un disegno-paese e
di un certo grado di eticità; la Costituzione come quadro di rapporti
sociali e custodia di pluralismo; il presidenzialismo che garantirà
l’unità contro le spinte centrifughe e l’eguaglianza delle prestazioni
pubbliche tra le Regioni e i cittadini che vi risiedono; la separazione
dei poteri; l’economia mista dove lo Stato non si limita a formulare le
regole e a farle rispettare ma, al bisogno, interviene direttamente
come operatore di ultima istanza.

Questa è la piattaforma della nuova destra costituzionale che Fini
indica al Pdl e in particolare ai militanti di An nell’atto stesso
dello scioglimento di quel partito. Lo seguiranno? Riusciranno a
realizzare gli obiettivi che il discorso di oggi ha con chiarezza
indicato? Saranno in grado di fertilizzare il corpaccione di Forza
Italia e di arruolare per quell’impresa che non gli somiglia affatto
anche il "boss dei boss", il Capo carismatico che ha ancora dinanzi a
sé un altro decennio di potere?

Per rispondere a queste domande occorre esaminare la natura profonda
del berlusconismo, il suo rapporto con la Lega, le tendenze che
emergono dalla società italiana, il ruolo di alcuni possibili
successori del Capo, l’attrazione del centrismo, le capacità potenziali
dell’opposizione riformista. Infine l’esito della crisi che infuria
sull’economia mondiale. Nei limiti che lo spazio ci impone cercheremo
di analizzare questi vari elementi del problema.

Può essere utile un confronto tra fascismo e berlusconismo. In fondo si
tratta di due regimi; il fascismo durò vent’anni, il berlusconismo ne
ha già alle spalle quindici e si avvia a raggiungere la durata del
precedente e probabilmente a superarla.
Al di là di alcune
somiglianze che indubbiamente ci sono e possono riassumersi nel carisma
populista del Capo, essi divergono profondamente su un punto di
capitale importanza.

Mussolini e il fascismo volevano costruire un uomo nuovo, ispirato dai
valori della forza, dai doveri verso lo Stato, dalla cultura della
guerra e della conquista, dagli ideali dell’imperialismo, dal mito
della Roma imperiale. La maggior cura la dedicarono all’educazione
della gioventù a questi valori e a questa mitologia. I successi che
ottennero si rivelarono effimeri non appena si scontrarono con la
durezza della realtà.

Il berlusconismo ha invece avuto come obiettivo la decostruzione del
rapporto tra l’individuo e la collettività, la decostruzione delle
ideologie, l’esaltazione della felicità immediata nell’immediato
presente, l’antipolitica, il pragmatismo come solo fondamento delle
decisioni individuali, il trasformismo come pratica quotidiana. La
corruttela pubblica come peccato veniale.

Berlusconi è un uomo di gomma laddove Mussolini si atteggiava a uomo di
ferro. Berlusconi galleggia e padroneggia la democrazia cercando di
renderla invertebrata; Mussolini distrusse la democrazia. Mussolini
volle lo Stato etico, Berlusconi appoggia il suo potere
sull’incompatibilità degli italiani nei confronti dello Stato, salvo
adottare lo statalismo quando una società impaurita lo invoca come il
protettore di ultima istanza.

Si tratta, come si vede, di differenze profonde anche se il fine è
analogo: un Capo carismatico, plebiscitato da un popolo che ha
rinunciato ad esser popolo ed ha trasferito in blocco la sua sovranità
al Capo.
Di fronte a queste
caratteristiche dell’amico-nemico il disegno di Fini ha scarse
possibilità di successo. Del resto i suoi "colonnelli" hanno da tempo
introitato questa realtà e vi si sono adeguati.

Quando in una recente trasmissione televisiva il ministro Ronchi (che
di Fini è il portavoce) parlò di una guida duale del nuovo partito, fu
interrotto dal ministro Matteoli (anche lui di An) che rifiutò
pubblicamente l’idea stessa di un consolato Berlusconi-Fini affermando
che il Capo non poteva che essere uno e c’era già. Resta da vedere fino
a che punto la base di An sia rappresentata da Fini o dai suoi ex
colonnelli.

Ma per aderire al disegno del presidente della Camera ci vorrebbe un
ritorno all’Msi, al fascismo puro e duro che esiste ancora ma non certo
sulla linea laica e costituzionale di Fini. In una società di gomma il
cemento del potere e del sottopotere è un collante formidabile; quel
collante è nelle mani di un Capo proprietario del suo partito nel quale
Fini entra da ospite dopo esser stato svestito dei suoi paramenti salvo
quelli, abbastanza innocui, di natura istituzionale. L’esperienza di
Casini da questo punto di vista è eloquente.

Visto che ho accennato a Casini, aggiungerò che l’attrazione del centro
è assai modesta, almeno nello schema originario di ago della bilancia
tra due forze contrapposte e di analoga dimensione. Le analoghe
dimensioni sono un’ipotesi del passato destinata a non replicarsi per
parecchio tempo, sicché contemporaneamente è scomparsa l’ipotesi stessa
del centro come ago della bilancia. La strada di Casini a questo punto
è segnata ed è quella dell’irrilevanza, dentro o fuori dal Pdl che sia.
I contrasti possono alimentare tutt’al più una fronda, ma non possono
aspirare né al potere né all’opposizione.

I successori sono di due tipi: il successore scelto dal proprietario
quando il momento sarà deciso dal proprietario medesimo. Una scelta
"alta" sarebbe Gianni Letta, una scelta servile sarebbe Alfano o
(perché no?) una donna. Tutto può accadere nei regimi basati sulla
proprietà e sulla gomma.

Oppure il successore emerge per forza propria. Può essere il caso di
Formigoni, ma con molte più probabilità quello di Tremonti. La crisi
economica favorisce il secondo ed anche il suo rapporto con la Lega.
Piace perfino ad una parte della sinistra per il suo colbertismo
statalista, ma non piace la scelta valoriale di Dio, Patria, Famiglia.
Tremonti comunque aspetta, non precorrerà mai i tempi. Fini si è già
esposto, Tremonti no. Per ora si contenta del fatto che il Capo (che
non lo ama) abbia bisogno di lui.

Resta l’opposizione riformista che ora sta lottando per la
sopravvivenza. Franceschini è una scoperta e qualche risultato l’ha già
ottenuto, qualche piccolo passo avanti l’ha fatto, qualche punto di
consenso l’ha riguadagnato. L’esame arriverà con le elezioni europee.
Dal punto di vista
formale la sopravvivenza consiste nell’asticella da superare.
Ragionevolmente sta a metà strada tra il 25 e il 30 per cento. Sotto a
quel livello la sopravvivenza oggettivamente non c’è e comincerà
l’implosione; ma significherebbe la scomparsa della sinistra riformista
e laica dalla scena dopo la scomparsa politica già avvenuta della
sinistra radical-massimalista.

Ammettiamo (e speriamolo per la democrazia italiana) che la
sopravvivenza sia realizzata con le elezioni europee. Quale può essere
il ruolo del Pd, oltre quello di darsi finalmente un’organizzazione ed
una struttura? Capace di rieducare una parte consistente della società?
Di alfabetizzare politicamente e moralmente quella parte consistente?
Di ricostruire il rapporto tra la società e lo Stato, decostruito dal
berlusconismo?

Il ruolo della sinistra riformista consiste proprio nelle risposte a
queste domande che si riassumono nella riconquista della società alla
democrazia partecipata e modernizzata. Nell’esercizio di questo ruolo
il riformismo può incontrare il disegno degli ambientalisti, il disegno
dei cattolici cristiani, il disegno dei liberali socialisti, il disegno
della sinistra democratica ed anche il disegno di una destra
repubblicana e costituzionale.

L’obiettivo comune è quello di ristrutturare una società destrutturata
e modernizzare le istituzioni. Si può fare ma ci vorrà tempo. Tempo e
veduta lunga. Uscire dal presente puntinista ed entrare coraggiosamente
nell’avvenire.

(22 marzo 2009)

 

 

  Giorgio – PsicoPadova

 

This entry was posted in Stampa. Bookmark the permalink.