Alcune opinioni, alcuni pensieri

 Ecco una serie di riflessioni – sfoghi estremamente interessanti!

 

Manifesto
– 7.2.09

Il
Padre del Popolo

Ida
Dominijanni

Beppino
Englaro non ha avuto né gravame né pena dalla via crucis di sua
figlia Eluana. Non lui ma alcune generose suore l’hanno accudita, e
sono loro che lottano per farla vivere mentre lui si appresta a
finirla. È un padre indegno, Beppino Englaro, ed è direttamente a
lui che Silvio Berlusconi si sostituisce, è nel suo posto che si
mette presentandosi a tutte e tutti noi come il Padre vero, il Padre
buono, il Padre degno di Eluana, del Popolo e della Nazione. Il Padre
onnipotente, contro un padre impotente. Il Padre che brandisce lo
scettro inumano della Legge, contro un padre che ha invocato e
ottenuto umana pietà dai tribunali. Il Padre che presiede alla
discendenza – «Eluana è viva, potrebbe ancora generare un figlio»
– contro un padre che da 17 anni piange la sua discendenza spezzata
per sempre. Nel nome del Padre, Silvio Berlusconi uccide un padre, e
con questo macabro trofeo in mano prova a rinverdire la propria
immagine di padre-padrone dell’Italia, la stessa della sua discesa in
campo del ’94, quando era il padre «che ama questo Paese», la
stessa delle sue velleità di costituente di qualche anno dopo,
quando in bicamerale sentiva «una vocina dentro che mi chiama papà».
La stessa miscela di bonomia e tracotanza, lo stesso avventurismo
camuffato da responsabilità, lo stesso delirio di onnipotenza
condito di buoni sentimenti, lo stesso gesso di cinismo verniciato
dal sorriso. Ma la maschera tirata a lucido non regge la prova: è il
volto di Beppino Englaro, volto segnato, volto parlante, volto
sofferente, volto impotente, volto teneramente paterno, a
strappargliela. Il Padre è nudo, come il Re. Denudato, il Re picchia
più duro e imbocca la via della soluzione finale. La vocina da
dentro non gli basta più a incoronarlo Padre costituente: andrà dal
Popolo a farsi dare l’investitura diretta per cambiare la
Costituzione. Andrà in parlamento, a farsi scrivere in tre giorni
una legge di vita o di morte per il suo governo, che decida della
vita e della morte di ciascuno di noi. Scavalcherà tutti i
magistrati di tutte le corti, per dimostrare che lui è il regno e
lui la potenza, senza alcun limite e alcuna legge. Sfiderà di
persona, a singolar tenzone medievale, il presidente della
Repubblica, per dimostrare che è a lui e solo a lui che quel ruolo
compete: Padre del Popolo, Capo dello Stato, nessun intralcio e
nessuna mediazione per lo mezzo. Silvio Berlusconi si conferma Silvio
Berlusconi: un eversore vestito da statista, che vuole stracciare la
Costituzione, un predicatore della democrazia plebiscitaria che ha in
spregio la democrazia della divisione dei poteri, un capo autoritario
che ha della giurisdizione la stessa idea che Hitler aveva della
razza ebraica, un imprenditore di se stesso che non avrà pace finché
non avrà messo se stesso sul Colle più alto. Ma se tutti oggi
sentiamo qualche brivido in più davanti a questa sua ultima
performance, non è solo per la sua sfida diretta al capo dello Stato
e alla magistratura, né solo perché, messo in fila con i penultimi
atti del governo, quest’ultimo configura davvero un salto di qualità
nella rottura dei principi e dei valori fondativi della Repubblica, e
ci chiama a un salto di qualità nella difesa dei principi e dei
valori fondativi della Repubblica. È perché stavolta il delirio
d’onnipotenza del Politico, il decisionisimo avventurista del
Sovrano, varcano troppo baldanzosamente i confini più insondabili
dell’umano, laddove qualunque politica e qualunque sovrano dovrebbero
umilmente fermarsi e dire: «Non so, non posso». Su quel confine c’è
un padre, Beppino Englaro, a ricordarci la forza che dall’impotenza
può sgorgare. Oltre quel confine c’è Eluana, né viva né morta, né
morta né viva, a testimoniare quella zona indecidibile
dell’esistenza dove non c’è sovranità alcuna che valga, né dell’io
né dello Stato. Ovunque lei sia, siamo con lei.

Diamo
un segno di vita


Marco
d’Eramo

È
arrivato il momento di dire basta. Basta allo spettacolo immondo di
una morte infinita data in pasto ai mercantaggi clientelari nella
buvette di Montecitorio. Basta al comportamento osceno del nostro
primo ministro che fa prove di golpe sul corpo inanime di una donna
di 37 anni che da troppo esiste senza più essere. Un premier che
sfrutta per calcoletti politici lo strazio di una famiglia. Un
magnate delle tv che per la prima volta in vita sua non presta
attenzione all’audience, visto che l’80% degli italiani concorda con
la famiglia di Eluana Englaro. Un cuor di leone che minaccia un colpo
di stato, in pratica l’impeachment del presidente della Repubblica,
se il Quirinale non gli consente subito di calare le braghe in tutta
libertà ai dettami del Vaticano. Perché, certo, questo pontificato
è intollerabile. La sua protervia è inaudita. In nessun altro paese
al mondo la Santa sede si permetterebbe nemmeno la centesima parte di
quanto ci impone. Si è detto che Benedetto XVI sta causando al
cattolicesimo e alla sua immagine nel mondo quel che George Bush ha
fatto agli Usa. Ma sono affari del Papa, e non sta a noi insegnargli
il mestiere: lo esercita come pensa meglio, anche col cinismo di
buttare tutto il peso della soglia di Pietro sul corpo inerme di una
donna. Quello che invece ci fa vergognare di essere italiani è il
servilismo dei nostri ministri che scodinzolano e riportano l’osso al
porporato di turno, è un governo che per decreto sancisce la
violazione delle nostre leggi, delle sentenze, della volontà della
famiglia, e del comune sentire del popolo italiano. D’altronde, che
ne può capire del dolore umano un politico che crede solo nel
lifting, nella botulina e nel tricotrapianto? Ma anche questo governo
in fondo fa il suo mestiere di Lazarillo de Tormes, di servo che
diventa padrone a furia di servire. Ed è tanto più preso dal
delirio di onnipotenza quanto più è servo. E Silvio Berlusconi è
talmente prono al Vaticano da prendersi per il segretario personale
di Dio, tanto da arrogarsi lui la decisione sull’altrui vita e morte,
e affermare che Eluana «potrebbe anche procreare figli». Quel che
davvero ci fa vergognare è la nostra inerzia. È muta ogni
opposizione. È in corso una battaglia di princìpi da cui dipenderà
la forma della nostra convivenza e invece le sinistre più o meno
radicali e il Pd di Veltroni si estenuano sul quel 4% di dignità che
gli resta. Su questa vicenda siamo tutti come i marinai delle antiche
galere che per esprimere il malcontento potevano solo emettere un
«Muuhh..» a bocca chiusa. Mugugnamo, ma neanche in pubblico, sulla
tolda, bensì nel segreto delle nostre case, solo con gli amici:
prove generali di dissenso sotterraneo in regime autoritario. Ma se
non riusciamo a farci sentire su questo terreno, su cui siamo
egemoni, come speriamo di risalire la china là dove siamo minoranza?
Mai avrei immaginato di finire «maggioranza silenziosa». E allora
che aspettiamo? Muoviamoci, diamo un segno di vita.

La
lunga lotta per il diritto


Eligio
Resta

È
Antigone che ancora ci parla nella vicenda dolorosa, ormai
straziante, di Eluana. Una legge degli affetti, così tragicamente
vissuti, è destinata sempre a scontrarsi con la legge della città,
con le sue pretese di decidere sulla vita e sulla morte. Quella legge
degli affetti è dettata da amore paterno e chiede a gran voce
rispetto e carità che, vediamo, non è il linguaggio con cui il
sovrano parla. Creonte cambia e rimane nello stesso tempo uguale a se
stesso; il suo volto moderno, si è detto, è quello del potere sulla
vita, su ogni vita, decidendo di lasciar vivere o far morire; o, al
contrario, di far vivere o lasciar morire. Niente di più
insopportabile e niente di più contrario al senso di un diritto che
sia capace di rimuovere ogni pre-potenza esterna. Se vi è un diritto
naturale, questo, nel mondo moderno, è il diritto di «sottrarsi
alle proprie catene»; la vera sovranità è quella di ognuno sul
proprio corpo. Carte, dichiarazioni, costituzioni hanno caparbiamente
cercato di sottrarre questo potere al sovrano e ci hanno ricordato
che non tutto si può decidere da parte del sovrano e il sovrano non
può decidere su tutto. Per questo, nella vicenda Englaro, abbiamo
sempre parlato di una difficile e lunga lotta per il diritto. Era
difficile immaginare che non si espropriasse ancora una volta il
carattere profondamente intimo e tragico della vicenda di Eluana; una
volta imboccata la strada della «prova di forza» del potere contro
il diritto sarebbe stato vano illudersi di vederne una soluzione
secondo le prescrizioni del diritto. Lo si è tentato in mille modi
quando la magistratura con sentenze esemplari dal punto di vista
giuridico, ha riconosciuto il diritto alla «dignità» di Eluana
Englaro, che significa il diritto a sottrarsi a sofferenze gratuite.
Si è tentato un impossibile conflitto di attribuzioni risolto
facilmente dalla Corte Costituzionale; si è poi provato con rimedi
di piccolo cabotaggio amministrativo; si è quindi ricorso, non senza
qualche ingenuità di forma e di contenuto, alla Corte europea dei
diritti dell’uomo e, infine, contro autorevoli indicazioni
istituzionali, si perfeziona il braccio di ferro con un decreto del
CdM. Non va dimenticata la vera dimensione della vicenda, che rimane
quella di un corpo costretto a vivere in una totale assenza di
dignità, imposta dall’artificio di una tecnica che più invasiva non
si può e da una dolorosa assenza di carità. Sì, di quella abbiamo
sentito parlare da parte di molti cattolici, ma non dal potere. È su
quello che andrebbe rivolto lo sguardo pietoso e solidale, al corpo e
alle sofferenze di Eluana e alla sua famiglia. Quelle sofferenze sono
state descritte da Beppino Englaro come «violenza inaudita» e non
credo che si possa usare linguaggio più appropriato. Ma quando il
linguaggio di Creonte è quello della coazione a vincere, le regole
minime della comunità politica vengono interamente stravolte. È in
gioco una dimensione minima dello stato costituzionale di diritto. Al
di là del conflitto aperto tra poteri che ancora una volta impegnerà
la Corte costituzionale, vi è la decomposizione di un criterio di
legalità ( e di ragionevolezza) per cui l’ultima parola sui diritti
deve essere pronunciata dalla magistratura, e non dal potere o,
peggio, dalla maggioranza. Non ci sono giustificazioni ideologiche
che tengano, tanto più che esse vivono contraddizioni visibilissime
e stridenti: la tecnica che costringe alla vita non degna è la
stessa tecnica che quell’ideologia rifiuta quando si tratta di non
far soffrire. Nello stesso modo, la vita che si dice di voler
tutelare è quella stessa che si condanna quando si negano le minime
condizioni di vita a esseri umani che non sono «nati» dentro un
territorio nazionale. La gravità della situazione in cui versa la
nostra comunità politica avrebbe bisogno non di prepotenti
declamazioni che incidono sul «corpo» di ogni cittadino, ma di
piccoli esercizi silenziosi di virtù più caritatevoli e di rispetto
dei diritti. Codice doppio quello di Creonte che priva della libertà
in nome della libertà. Per questo, ancora una volta Antigone.

Liberazione
– 7.2.09

L’erede
della loggia P2

– Dino Greco

Il
Paese, la democrazia repubblicana sono sotto scacco. Al rifiuto del
Capo dello Stato di controfirmare il decreto che ordina di riprendere
l’alimentazione forzata di Eluana Englaro, Berlusconi risponde con la
convocazione delle Camere (anche se non rientra nei suoi poteri
farlo) per approvare, a tamburo battente, attraverso il voto di
fiducia, una legge che risolva in radice l’oggetto del contenzioso.
Sembra che, nelle ultime ore, questa tracotante intenzione abbia
incontrato, nella stessa maggioranza e specialmente nel Presidente
della Camera, qualche significativo contrasto. E che, "in
articulo mortis", l’uomo di Arcore sia stato costretto a
scegliere una strada formalmente meno dirompente: un disegno di legge
affidato ad un percorso parlamentare accelerato. Ma resta, tutta
intera, l’intenzione eversiva, l’insofferenza sempre più marcata
verso ogni e qualsiasi regola o potere che si frappongano
all’esercizio del suo potere assoluto. Si guardi alla successione di
eventi di questa convulsa giornata. Prima Berlusconi si scaglia
contro il presidente della Repubblica, accusato di avallare con il
suo diniego niente meno che il reato di «omissione di soccorso di
una persona in pericolo di vita». Poi, in un crescendo rossiniano,
dichiara che la decretazione d’urgenza, il ricorso al voto di
fiducia, rappresentano il modo ordinario, necessario, di governare. E
se ciò non bastasse – ma i nessi logici si fanno qui assai laschi –
si rammenti che è sempre possibile tornare dal popolo sovrano per
ottenerne un mandato plebiscitario a cambiare la Costituzione. In un
sol colpo, il caudillo italiano squaderna l’intero suo repertorio,
ereditato – come è sempre più evidente – dal «programma di
rinascita democratica» del «venerabile maestro» Licio Gelli:
minaccia il capo dello Stato e ne usurpa le prerogative, ignora la
sentenza della Corte di Cassazione, si sbarazza del Parlamento,
attacca con ossessione compulsiva la Costituzione, travolge ogni
senso di laicità dello Stato per conformarsi alle pulsioni più
reazionarie della gerarchia vaticana, esercita un’inaudita violenza
sul corpo di una donna costringendola a protrarre un’esistenza
puramente vegetativa, compie un gesto di crudele sopraffazione sulla
sua famiglia. Ve n’è più che abbastanza per comprendere che – forse
come non mai in questa pessima stagione politica – si sia superata la
soglia di guardia, oltre la quale sono davvero messe a repentaglio la
democrazia e le libertà fondamentali. Non è bene attendere che la
corsa si fermi in fondo al piano inclinato. Perché allora potrebbe
essere troppo tardi. Occorre mobilitarsi, da subito, in tutto il
Paese, costruendo la massima unità.

I
«figli di Eluana» e lo “stupro” di Berlusconi

– Laura Eduati

Eluana,
dice Berlusconi, «potrebbe persino generare un figlio». Come prova,
pensa forse il premier, della sua vitalità. Corpo inerte da
diciassette lunghi anni, la donna di Lecco oggi trentottenne è stata
oltraggiata, vilipesa, manipolata (il padre Beppino usa un termine
durissimo, «violentata»). E tuttavia mai nessuno aveva sporcato la
sua fragile intimità come il presidente del consiglio con queste
esatte parole, «Eluana potrebbe generare un figlio». Parole che
contengono un universo di disprezzo e disamore verso i disabili
gravi, verso le donne, verso la dolorosa tragedia di una intera
famiglia che da troppo tempo cerca di far valere un diritto garantito
dalla Costituzione e cioè la libertà di rifiuto delle cure.
Libertà, ricordiamo, che la Corte di Cassazione garantisce con una
sentenza chiara e inappellabile e che oggi il governo vuole
strangolare con un disegno di legge palesemente incostituzionale.
Pare chiaro anche ai non addetti ai lavori che il signor Berlusconi,
come dice Emma Bonino, si è lanciato in una «fanfaronata». Non
importa se riuscirà a impedire la dolce morte a Eluana. Non è
questo il punto. Dire che una donna in stato vegetativo potrebbe
generare un figlio equivale a stuprare il suo corpo. Equivale a
considerare le donne buone per fare figli anche quando giacciono in
una casa di cura da quasi vent’anni, nutrite da un sondino
nasogastrico, senza qualsivoglia reazione o azione volontaria.
Equivale a vedere nella persona di Eluana, inerme, soltanto la parte
femminile e dunque soltanto quella materna, incubatrice non
consenziente, contenitore senza riflessi né pensieri né sensazioni,
utile soltanto come placenta. Eluana probabilmente potrebbe fare dei
figli ma certamente non può scegliere di farlo. Al premier questo
non importa, importa l’utero funzionante, importa che il sangue
scorra nelle vene, importa che possa respirare autonomamente. In
poche parole, calpesta il concetto di anima, di volontà, di emozioni
e riporta la vita di una donna a quella che per una mentalità
ultra-reazionaria e ultracattolica è la sua funzione biologica
primaria: sfornare un bambino. Nella frase di Berlusconi si esplicita
tutta la violenza di un governo che vuole scegliere al posto di
Eluana e della famiglia Englaro: sceglie di tenerla in una vita
vegetale, pallidissimo simulacro di una vita vera e vissuta, e
sceglie soprattutto che la sua volontà di morire conta molto meno
della volontà pubblica e impositiva dello Stato. Soprattutto, una
volontà padronale che interviene sulla debolezza provata e privata
di una donna esanime e con nessuna capacità di recupero utilizzando
una argomentazione surrettizia: Eluana è prima di tutto una donna, e
le donne fanno figli. Punto. Su come Berlusconi concepisse peraltro
il corpo femminile e lo stupro, ne abbiamo avuto un esempio nei
giorni scorsi quando disse che il governo non può prevenire tutte le
violenze sessuali altrimenti «bisognerebbe mettere un militare al
fianco di ogni bella donna». Concetto semplice, elementare: viene
stuprata la donna bella perché è bella, cosa ci volete fare, noi
maschi siamo fatti così.

Crisi
costruita a tavolino. Oltretevere soddisfatto. Anche troppo

Fulvio
Fania

Ignobile.
Il cinismo non ha dunque limiti; la tragedia di Eluana, il dolore del
padre, il drammatico dilemma che attraversa le coscienze, tutto è
stato piegato alla bassa cucina di un vergognoso calcolo politico.
Che Berlusconi parli ancora di coscienza provoca solo tristezza. O
rabbia. Più che al confine tra la vita e alla morte il premier ha
pensato a quanto possa essergli utile un conflitto diretto e aperto
con il Capo dello Stato. Berlusconi ha sferrato quindi un attacco
senza precedenti al Quirinale, portando il Paese ad una crisi
istituzionale che sembra disegnata a tavolino da Licio Gelli. Aveva
raccomandato ai suoi ministri di accondiscendere ai voleri vaticani
sul "fine vita". Perché la guerra a qualsiasi forma di
eutanasia è stata assunta quasi ad emblema di questo pontificato
sempre più in difficoltà col mondo moderno. Ma anche perché su
altri fronti i vescovi non erano molto contenti: i soldi per la
scuola privata sono meno di quanto promesso, sulla famiglia hanno
incassato solo belle parole mentre Berlusconi ha dato il via alla
caccia all’immigrato, ciò che indigna non solo preti di strada ma
anche strutture istituzionali della Cei come le Caritas. Bisognava
corroborare le simpatie d’Oltretevere e il caso Eluana si prestava.
Se mai ha nutrito qualche dubbio in proposito non era per il volto
logorato di Beppino Englaro ma per qualche sondaggio che gli rivelava
il parere contrario della maggioranza degli italiani. Ma alla fine ha
prevalso l’arroganza. In tutti gli aspetti: il governo sono io e
decido io, il decreto d’urgenza è l’unico strumento di governo, il
Presidente non può interferire sulle mie valutazioni e se non firma
convoco il parlamento e in 48 ore faccio approvare una legge come
dico io. In questo assalto alle regole democratiche le Camere vengono
ridotte al rango di cavalier servente, una mera formalità, un arnese
da scagliare contro il Quirinale. E se il Capo dello Stato resta
legato alla Costituzione, vorrà dire che si cambierà anche quella.
Per Berlusconi la strada verso il Colle diventerà una passeggiata.
Anche per questo ha ritenuto conveniente mettere in croce Napolitano,
incolparlo implicitamente di "omissione di soccorso",
additarlo al ludibrio delle sacre stanze. Il Cavaliere non ha mai
gradito lo scambio di cortesie tra il Presidente e il Papa, quella
certa sintonia che magari faceva storcere il naso, per opposti
motivi, agli osservatori laici. In queste ore Berlusconi incassa i
primi elogi di parte vaticana. La Santa sede ha negato che siano
intercorse telefonate tra il cardinale Bertone e Berlusconi prima del
Consiglio dei ministri. Certe smentite sono prassi. D’altra parte il
sottosegretario Gianni Letta, gentiluomo di Sua Santità, è
ambasciatore permanente tra le due sponde. Ma adesso? Per il Vaticano
sarà davvero tutto semplice? Il governo ha eseguito i desiderata più
ratzingeriani ma se la crisi istituzionale italiana si aggravasse
l’imbarazzo sarebbe notevole. Tra pochi giorni all’ambasciata
d’Italia presso la Santa sede si festeggeranno gli 80 anni del
Concordato con Napolitano, Berlusconi e Fini. I vertici vaticani
temono un ennesimo incidente diplomatico provocato dalla propria
politica: una linea di restaurazione che riabilita i lefebvriani,
promuove le campagne integraliste in difesa di una vita che non c’è
più e pretende che la propria legge sia legge di tutti.

This entry was posted in Stampa. Bookmark the permalink.