Alberto Burgio*, 19 novembre
2008
L’intervento La destra
propone un piano di ristrutturazione universitaria che in verità
trova sostegno anche da parte dei democratici. E’ dal 2004
che esponenti dei Ds (da Rossi a Toniolo) si
dimostrano interessati al modello americano degli atenei-fondazioni,
tanto da aver depositato anche proposte di legge che vanno in questa
direzione della privatizzazione accademica
Non è davvero complicato
capire perché il ministro Gelmini continui a rivolgere inviti
alla collaborazione all’omologo ministro-ombra del Pd Maria Pia
Garavaglia. Con il passare dei giorni diventa sempre più
evidente che una questione centrale nel disegno governativo di
distruzione dell’università pubblica è la
trasformazione degli atenei statali in fondazioni private, resa
possibile dall’art. 16 delle legge 133.
Il fatto è
che proprio su questa materia la destra sa bene che la cosiddetta
opposizione (almeno per quanto riguarda il Pd) è totalmente
d’accordo con il governo. La collaborazione auspicata dal ministro
Gelmini è quindi a costo-zero, anzi servirà a
facilitare e ad accelerare il disastro.
La cosa era già
ben nota a chi si interessa di università. È almeno dal
2004 che i Ds si agitano per promuovere il modello americano delle
università-fondazioni, strumentalizzando la questione del
merito: una questione seria, che andrebbe affrontata garantendo
parità nelle posizioni di partenza e obiettività delle
valutazioni, e non imboccando scorciatoie "mercatiste",
basate sulla generalizzazione del modello economico dell’efficienza.
Gianni Toniolo e Nicola Rossi hanno scritto innumerevoli articoli e
animato convegni al riguardo. Rossi è autore di una proposta
di legge (depositata nel febbraio 2006) in tutto e per tutto identica
a quanto oggi disposto dal governo. In due parole, l’idea è
trasformare le università oggi pubbliche in soggetti di
diritto privato (in proprietà private), liberandole di tutti i
vincoli oggi esistenti.
Le università
private debbono potere imporre tasse senza alcun limite (oggi il
gettito proveniente dalle tasse studentesche non può superare
il 20% del fondo di finanziamento di ciascuna università),
gestire in modo discrezionale i rapporti di lavoro con il personale
docente e non-docente (di fatto precarizzato) e governare didattica e
ricerca secondo criteri aziendali, cioè pretendendo che siano
redditizie in termini economici.
In cambio (di
questo regalo) i privati riceveranno in dote la proprietà dei
beni immobili già in uso alle università trasformate in
fondazioni. E, per non farsi mancare nulla, incamereranno questo
enorme patrimonio pubblico senza pagare nemmeno un euro di imposte e
tasse sul suo trasferimento.
Qualche giorno
fa l’on. Garavaglia ha voluto chiarire che la proposta di Rossi non è
un’opinione personale, ma riflette la posizione del Partito
democratico. Ha rilasciato un’intervista ad Aprile
online che merita di essere letta con attenzione.
Sostiene in sostanza, il ministro-ombra, che le fondazioni vanno
bene, purché lo Stato continui a fornire loro finanziamenti
pubblici (ciò che peraltro il comma 9 dell’art. 16 già
dice chiaramente). Lamenta che la 133 non è abbastanza
esplicita sul reclutamento e la governance delle future fondazioni,
ma afferma che non c’è ragione di essere contrari poiché
"la fondazione in quanto tale può essere neutra come
strumento giuridico".
C’è il
piccolo particolare che la legge puntualizza che le future fondazioni
"perseguono i propri scopi secondo le modalità consentite
dalla loro natura giuridica" (privatistica), "operano nel
rispetto dei principi di economicità della gestione"
(servono a fare profitti) e potranno dotarsi di regolamenti
amministrativi "in deroga alle norme dell’ordinamento contabile
dello Stato e degli enti pubblici". È davvero difficile
non capire che il governo ha in mente vere e proprie imprese private,
dove l’immediata redditività economica sarà l’unico
fine gestionale, per il cui perseguimento non vi saranno limiti
giuridici di sorta. Altro che poco espliciti!
La verità
è che su questo impianto "modernizzatore" destra e
Pd sono pienamente d’accordo. Veltroni finge di chiedere la revoca
dei provvedimenti sull’università contenuti nella 133, ma la
sua è pura propaganda. Del resto perché mai dovrebbe
essere contrario alle fondazioni proprio lui che continua a
considerare gli Stati Uniti, culla delle università private,
il modello sociale al quale ispirarsi?
Ma c’è
dell’altro. Abbiamo detto privatizzazione. Va a braccetto con questa
linea di tendenza (anzi, ne è un corollario) la frammentazione
del sistema universitario. Si avranno università di serie a e
di serie b. Non ci sarà più l’università
italiana, ma tante strutture separate l’una dall’altra. E difatti
l’abolizione del valore legale del titolo (per cui essersi laureati
non sarà più sufficiente per partecipare a un concorso,
ma occorrerà avere ottenuto la laurea in determinate sedi
universitarie) è uno degli obiettivi dei "riformatori"
in entrambi gli schieramenti politici. Vista così, la
distruzione dell’università pubblica si inscrive in quel più
generale processo di frammentazione del Paese che è a sua
volta una tragedia a cui stiamo assistendo nell’indifferenza complice
o nella generale incomprensione.
Vanno in questa
direzione lo smantellamento del modello contrattuale incentrato sul
contratto collettivo nazionale e, naturalmente, il federalismo
fiscale. E anche in questo caso la destra dilaga dove la controparte
ha aperto la diga: il processo di frammentazione del Paese prende
avvio con la regionalizzazione della sanità pubblica, con la
privatizzazione delle pubbliche amministrazioni, con la riforma del
Titolo V della Costituzione, con la riforma presidenzialistica delle
Regioni: tutte "innovazioni" introdotte dai governi di
centrosinistra.
Non dovrebbe
essere molto difficile capire che un Paese frammentato è senza
difese, senza anticorpi contro l’iniziativa dei poteri sociali forti.
L’impresa potrà giocare le aree povere contro le più
avanzate per abbattere ulteriormente salari e tutele. E la spesa
pubblica sociale sarà ulteriormente ridotta e squilibrata
ponendo in concorrenza le diverse zone del Paese.
Questa è
la vera partita oggi in corso, che dimostra come lo Stato non sia
soltanto il "comitato d’affari della borghesia" ma anche
una struttura di tutela dei diritti e uno strumento di lotta contro
la prepotenza dei privati. Per questo la destra vandalizza la
Costituzione e privatizza a più non posso. Approfittando della
complice inerzia di chi avrebbe il compito di sbarrarle la strada.
Posted by Giorgio – PsicoPadova