COSA DARE AGLI STUDENTI
Repubblica — 21 ottobre 2008
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Dobbiamo prendere atto di una realtà: l’ analfabetismo civile della
società italiana è un fenomeno gravissimo. E non è per caso che lo
scontro sociale si sta riaccendendo intorno alla scuola. I giovani, le
famiglie, gli insegnanti stanno prendendo coscienza di quello che li
aspetta: una scuola pubblica pesantemente impoverita nei servizi, nel
personale, negli edifici e nelle attrezzature. A cui si aggiunge una
università di infimo livello, fabbrica di lauree ridicole e di docenti
senza qualità. Il tempo è giudicato maturo da chi comanda per liquidare
la pesante struttura della scuola pubblica e per affiancare all’
università pubblica in via di smantellamento fondazioni private capaci
di velocizzare la fornitura del personale tecnicamente preparato e
civilmente incolto richiesto dal sistema produttivo. La giustificazione
che regge la proposta è quella dello stato di crisi delle finanze
pubbliche, aggravato oggi dalla tempesta mondiale delle banche. Ma la
voce che si leva dalle piazze e che trova la via dei fax e delle mail
per raggiungere il Quirinale dice che, accanto alle banche, prima e più
delle banche, c’ è ancora chi vuole salvare la formazione dei giovani e
la qualità del nostro sistema della ricerca universitaria. È urgente
affermare che qui si gioca una partita strategica essenziale. Prenderne
coscienza è fondamentale. Lo stanno facendo le famiglie, gli studenti,
i docenti, con proteste e richieste di interessi diversi, non sempre
componibili tra di loro. Alle famiglie la riforma minacciata per
decreto renderà più complicato raggiungere scuole accorpate, più
ridotto il tempo dell’ affidamento dei figli, più povera l’ offerta
culturale. Agli scolari e agli studenti toccherà in sorte un luogo di
rafforzata disciplina esteriore negli abiti, nella condotta, e di
inadeguata offerta per la crescita civile e culturale. Queste economie
tagliate con l’ accetta sul sistema scolastico ricordano quel Procuste
che segava le gambe ai clienti per adattarli alla dimensione dei suoi
letti. La scuola è il pilastro fondamentale della società civile in una
democrazia vitale, il luogo della socializzazione e dell’ avvio a una
cittadinanza consapevole, l’ unico mezzo efficace per eliminare le
discriminazioni di religione e di etnia, per assorbire l’ impatto dei
flussi migratori mondiali abituando a crescere negli stessi ambienti
coloro che, da adulti, si troveranno fuori dalla scuola a convivere
nella stessa società. La rivelazione della stupefacente crescita
numerica della popolazione italiana ci ha fornito i numeri di quel che
è accaduto negli ultimi anni, ma ha fatto anche di più: ha dimostrato
implicitamente quello che i risentimenti, le chiusure, i pregiudizi e
le paure seminate a piene mani cercano di nascondere, il fatto cioè che
ciascuno di noi conta per uno e che tutti insieme facciamo la somma
paese. Democrazia e demografia debbono andare di pari passo. L’ idea di
istituire classi differenziate è sorella di quell’ altra balorda idea
delle impronte digitali da prendere ai bambini rom. Riuscirà la
protesta degli studenti a frenare la deriva italiana? La giovinezza e
la speranza di cambiare in meglio il mondo sono sorelle. Speriamo,
dunque. Quanto ai compagni di strada che i giovani in agitazione e le
loro famiglie stanno incontrando, la loro solidarietà non potrà
esimerli da qualche esame di coscienza. Sulla protesta dei sindacati
gravano quei limiti corporativi che tanto hanno pesato in passato nell’
ostacolare l’ avanzata dei docenti migliori e la rimozione dei peggiori
e nel sostituire pressioni e contrattazioni alla logica del concorso
pubblico senza limitazioni, senza fasce protette o categorie riservate.
Ma è ai docenti e al sistema che governa l’ università come luogo di
insegnamento e di ricerca che oggi si chiede una prova speciale di
credibilità. Ne saranno, ne saremo capaci? C’ è da dubitarne. Un fatto
recente rafforza i dubbi. Se il clan dei casalesi compie una strage in
un centro abitato in pieno giorno, nessuno vede, nessuno denunzia,
nessuno testimonia. Precisiamo: nessun italiano. La "vittoria dello
Stato" di cui nel caso di Castel Volturno si è gloriato il ministro
dell’ Interno è dovuta a un immigrato, l’ unico salvatosi dalla strage.
Un uomo solo, terrorizzato, sfuggito alla morte, ma capace di un atto
di coraggio elementare, di una domanda di giustizia che non è giunta da
nessun’ altra parte. Ma parliamo dell’ università. Qui le stragi ci
sono ma non si vedono. Sono stragi di speranze e di intelligenze. Ogni
anno in questa stagione il saldo demografico dell’ università si chiude
in negativo: i giovani migliori vanno all’ estero, i pochi che vengono
in Italia da fuori vi arrivano da paesi più poveri e più incolti del
nostro. Anche qui è stato un immigrato, un raro esempio di "ritorno dei
cervelli" a fare una radiografia impietosa e documentata del sistema
universitario. Il professor Roberto Perotti, già docente alla Columbia
University di New York, oggi alla Bocconi, ne L’ Università truccata
(edizioni Einaudi) ha denunziato le malattie dell’ Università e ha
avanzato proposte. Pagina dopo pagina leggiamo nomi e cognomi. Una
tabella a pagina 22 ricostruisce il sistema di parentela che domina la
facoltà di economia dell’ Università di Bari come pure quelle di
Medicina e Chirurgia di Bari e della Sapienza di Roma. E una tabella
fittissima di ben cinque pagine illustra il meccanismo dei "concorsi
dei rampolli". Le regole della parentela sono elementari nelle
popolazioni primitive studiate dal grande antropologo Claude
Levi-Strauss. Lo sono anche nelle tribù accademiche italiane. Qui basta
un padre Magnifico Rettore a determinare l’ irresistibile entrata dei
membri della sua famiglia nell’ università che governa e nel suo stesso
dipartimento. Naturalmente il problema non è la consanguineità dei
professori ma il blocco degli studi e la penalizzazione dei giovani
migliori che la logica mafiosa dominante nei concorsi ha prodotto con
la scomparsa tendenziale delle università italiane dalla parte alta
della comunità scientifica internazionale. Le pagine di Perotti fitte
di nomi e cognomi potevano scatenare una tempesta di querele e di
proteste, riempire le aule dei tribunali di dignità offese. Non è
accaduto niente. Le toghe infangate e svergognate hanno continuano a
coprire magnificenze fasulle abbarbicate a cattedre e rettorati. Si
diceva una volta: "Calunniate, calunniate, qualcosa resterà". Viene
voglia di dire oggi: criticate, criticate, niente resterà. Resta solo
uno stato d’ animo di invidia e di rancore, diffuso tra le famiglie
soccombenti e nella poltiglia umana che dallo spettacolo dell’
ignoranza trionfante e prevaricante ricava solo una spinta alla
maldicenza anonima e indifferenziata e può consolarsi così delle
proprie frustrazioni. Ma lo scandalo vero è la sordità delle
istituzioni e dei poteri. In un’ altra cultura avremmo visto
probabilmente manifestazioni pubbliche, esibizioni delle vergogne su
lenzuolate di nomi, proteste di associazioni e di sindacati, inchieste
di magistrati, interrogazioni parlamentari. Nel libro di Perotti c’ è
quanto basterebbe in un paese dotato di un vero governo e di una vera
opposizione per mettere in movimento almeno una inchiesta parlamentare.
Anche perché gli intrecci osceni che avvengono nei concorsi non sono
fatti solo di dinastie familiari. Come tutti sanno, il vigente
principio dello "ius loci" affida al potere delle cosche accademiche
localmente prevalenti la selezione delle nuove leve di docenti
attraverso il paravento di finti concorsi. Su questa materia è stato
detto tutto. Non è stato fatto nulla. Quel che è stato fatto è un
disastro bipartisan che negli ultimi anni, col sistema del tre per due
e con la regola concorsuale dello "ius loci" ha svenduto le residue
energie dell’ università italiana, ha riempito le scuole di ignoranti e
ha moltiplicato le etichette di fantasia per fare posto agli asini
obbedienti al potere del capocosca locale. Ora siamo arrivati al
rendiconto finale. Lo sforzo degli studenti in agitazione per
coinvolgere i docenti e di riceverne pacche sulle spalle è patetico. Ci
fa misurare la distanza dalle aspre e irridenti satire del ‘ 68, quando
l’ apparizione di un professore in un’ assemblea studentesca faceva
scattare cori di derisione. I giovani di allora oggi sono vecchi. Molti
di quelli che allora dominarono le assemblee studentesche occupano o
hanno occupato cattedre, ministeri seggi parlamentari. Pesa sulle loro
spalle un fallimento che non hanno saputo evitare, che hanno spesso
contribuito ad accelerare. Il loro eventuale appoggio andrebbe
esorcizzato come una minaccia da chi vuole veramente che la scuola e l’
università italiana riprendano la loro funzione di cuore pulsante della
società. Lo tengano presente i giovani che oggi, timidamente,
cominciano a uscire dal torpore di un paese gravemente malato. – ADRIANO PROSPERI
Caro Prosperi,
condivido a pieno le sue perperplessità verso la collaborazione del corpo docente in massa, se lo fanno in troppi stanno difendendo degli interessi di casta(certo c’è da chiedersi: di quale natura, qual’è la motivazione che li spinge? Dovremmo quindi addentrarci nella loro storia..). Ritengo inoltre che alcuni contributi di taluni Professori siano poco indispensabili o addirittura fuorvianti rispetto ai temi di comune interesse nel contesto delle assemblee dell’Onda Anomala, come alcuni amano chiamare il movimento studentesco attuale. Ma bisogna riconoscere che ragionare per partito preso e considerare i messaggi lanciati da un individuo come assolutamente fuoriluogo esclusivamente perchè appartiene ad una classe specifica ha lo stesso retrogusto di intolleranza, di xenofobia e atteggiamento conservatore-proibizionista che rende amareggiate o addormenta lentamente le coscienze di alcuni nostri conterranei. Non ci stiamo muovendo per distruggere, ci stiamo muovendo per creare, per migliorare…altrimenti perchè non si parla di “ideologie”? come evitare la politicizzazione del movimento? Qui ci sono in ballo le idee, non le ideologie. Le idee sono il prodotto della creatività e dell’innovazione e queste vengono dall’intuizione e dal ragionamento, frutto dalla formazione, dalla conoscenza e da quel pizzico che ci rende unici: la coscienza, fondata sull’arbitrio…è questa ricetta che crea un essere civile o servile, a seconda della qualità e della quantità degli ingredienti. Invece con il ricettario si suor Tremonti-Gelmini ci vediamo già manipolare dall’alto come marionette nel teatrino di mangiafuoco. Grazie Tremonti e grazie Gelmini, ci avete fatto guardare allo specchio tutti! Ci siamo svegliati e siamo pronti a collaborare, questa credo sia la parola chiave ora…a 360 gradi…e cio nn vuol dire scendere a compromessi ma compromettersi scendendo in campo, sporcarsi le mani di lavoro e difendere la vita con la vitalità. Ficcare gianburrascamente il dito nella marmellata di risorse socio-umano-artistiche che abbiamo lasciato nella dispensa, attivarle. Alcuni avvenimenti sono gia successi in passato nella storia, altre ancora riverberano nel presente (vedi La Storia d’italia di Indro Montanelli su u-tube), molte meravigliose parole se non tutte sono state gia dette (vedi Calamandrei su U-tube nelle sue conferenze autogestite dagli studenti a milano negli anni 70, un Prof. Costituzionalista)..alcune esperiienze sono un bagaglio utile…in questi termini dialogici l’apporto di una testimonianza fuori dal coro di studenti puo anche essere criticamente accettata, purchè il suo ruolo sia chiaro, concordato. Anche se mi chiedo, quanti hanno davvero imparato a discernere la verità, che è privilegio degli dei, dalla realtà sfuggevole, sfumata e cangiante degli uomini? Bisognerà immergersi concretamente e appassionatamente in quest’ultima per capire la prima a mio avviso.
Riccardo Corinna