BLOCCO DEL TURN OVER OVVERO LA
DISFATTA DEI GRANDI ATENEI
Di Valentina D’Urso Prof.ssa di
Psicologia Generale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
Vorrei chiarire alcune conseguenze, non
immediatamente evidenti, del blocco del turn-over. Come molti ormai
sanno, per ogni 10 persone in organico alle università che
vanno in pensione, se ne assumeranno soltanto 2; in altre parole, per
i prossimi anni si prevede uno “snellimento” dell’80% a fronte
dello sperabile aumento del numero degli studenti.
Una delle conseguenze più gravi
di questo drastico snellimento si capisce considerando l’età
media del corpo docente e soprattutto gli anni dell’immissione in
ruolo. Come si sa, negli anni Settanta l’accesso all’università
– che prima era aperta solo a chi aveva una maturità classica
o scientifica – è stato giustamente liberalizzato. Di
conseguenza gli studenti si sono quasi decuplicati e in quegli anni
in proporzione sono stati assunti moltissimi docenti, personale
amministrativo e personale tecnico (come bibliotecari, assistenti di
laboratorio ecc.). E’ stato calcolato che metà di queste
persone andranno in pensione nei prossimi 10 anni, e saranno
rimpiazzati soltanto da un quinto di figure professionali
equivalenti. Didattica e ricerca verranno spaventosamente indebolite.
Ma quali università e quali
corsi di laurea verranno colpiti maggiormente? Le università
più grandi e di maggior prestigio, come Padova, Roma, Milano e
Bologna, cioè quelle sedi che hanno assunto personale 35-40
anni fa, e che sono stabilmente indicate come atenei dove si fa la
migliore ricerca, dove le strutture come biblioteche e laboratori
sono più attrezzate e attive. Analogamente fra i corsi di
laurea verranno impoveriti i corsi più tradizionali, e non
quelli di recente o recentissima istituzione, spesso criticati come
superflui.
Quali atenei non verranno invece
toccati da questa minacciosa prospettiva? Facile capirlo: quelli
fondati negli ultimi anni, spesso sedi che offrono quasi
esclusivamente lezioni magari concentrate in pochi giorni al mese,
dove i docenti non risiedono, sedi povere nel campo della ricerca
pura e carenti di quelle iniziative come seminari, esercitazioni ecc.
che costituiscono il vero nocciolo della cultura universitaria. La
stessa differenza riguarda i corsi di laurea: saranno colpiti molto
di più quelli che si reggono su docenti di ruolo, dunque
persone con una solida preparazione anche didattica, mentre
resteranno indenni i corsi che si reggono su professori a contratto,
che saranno magari insigni avvocati, ingegneri ecc. ma che sono
soprattutto professionisti il cui ruolo all’interno delle
università dovrebbe essere specialmente quello di mantenere
vivo il rapporto fra la docenza e le professioni.